Il segretario nazionale del Pri a Castellammare di Stabia/Rigore, equità e sviluppo per la ripresa del Mezzogiorno

Nucara lancia l’alleanza liberaldemocratica

Il segretario nazionale del Pri Francesco Nucara, accanto all’onorevole Giuseppe Ossorio e agli amici della direzione provinciale di Napoli, ha lanciato sabato scorso da Castellamare di Stabia il progetto di un’alleanza liberaldemocratica. Una piattaforma politica indispensabile per tutte le forze che ritengono necessario proseguire l’agenda di Mario Monti anche nella prossima legislatura. La proposta non poteva che provenire dal Mezzogiorno che, più di tutte le regioni d’Italia, ha bisogno di una ventata d’aria nuova per riprendersi e ha mantenuto un legame profondo con la tradizione meridionalista del Pri in Puglia, Calabria e Campania. Solo un progetto liberaldemocratico può dare una speranza di ripresa. Pensiamo al fronte occupazionale, cominciando dall’impianto Fiat di Pomigliano d’Arco. Nucara, senza voler sostenere le ragioni dell’azienda torinese, ha invitato ad un atteggiamento diverso la Cgil da quello tenuto finora. Perché, invece di lamentare i licenziamenti - sarà pure una prerogativa dell’azienda valutare le capacità del personale - si punti a salvaguardare la produzione in Italia, quando la maggior parte di questa è già delocalizzata all’estero. Il Mezzogiorno ha bisogno di lavoro e quindi di imprese che restino sul territorio. Per restare servono le infrastrutture necessarie, che oggi mancano. Il progetto liberaldemocratico è un progetto di sviluppo per un paese europeo che manca all’Italia dai tempi di Ugo La Malfa. Nucara è critico con l’operato del governo ed in particolare di alcuni ministri, ma è attento a valutare la figura di Monti, non solo per il prestigio che ha saputo dare al Paese in quest’anno di attività, ma soprattutto perché Monti è un convinto assertore delle ragioni del rigore e dello sviluppo che caratterizzano l’orizzonte liberaldemocratico. Non osiamo pensare dove, un prossimo governo che prescinda dall’esperienza Monti, possa condurre il Paese.

di Francesco Nucara

Ho scelto di parlare qui, oggi, a Castellammare di Stabia, come se parlassi alla chiusura di un congresso. Questo non è un congresso ma è l’epilogo di un cinquantennio di impegno repubblicano, che ha intriso la mia vita di battaglie politiche, di sofferenze, di scelte drammatiche, di amicizie che purtroppo si sono dissolte nel contrasto tra gli interessi personali e gli interessi dei repubblicani, di composizioni e ricomposizioni tra le varie anime repubblicane, che si allontanarono temporaneamente dal PRI proprio perché non vedevano nella sua condizione la tutela degli interessi del partito, bensì la curatela dei propri interessi familistici e che nulla avevano a che vedere con la storia e con gli ideali repubblicani.

Quante bugie e quante sofferenze e quanti atteggiamenti sottomissori pur di non acuire i contrasti nel nostro amato partito!

Abbiamo subito, per il bene del Partito, torti politici gravissimi, ma abbiamo sempre avuto nella nostra coscienza l’interesse repubblicano anche quando il nostro personale avrebbe potuto essere corroborato da un vero intreccio con quello partitico. E’ l’insegnamento di Ugo La Malfa: "L’interesse del Paese viene prima di quello del Partito".

Per sana e corretta proprietà transitiva potremmo dire che l’interesse dei repubblicani viene prima di quello personale. Evidentemente gli egoismi dei partiti hanno preso il sopravvento sul postulato lamalfiano. Ma diciamolo chiaramente: non è riuscito a farsi capire nemmeno all’interno delle sue mura domestiche!

Noi abbiamo continuato a lottare sostenendo e dichiarando in faccia all’allora segretario del PRI che il nostro migliore amico era il Partito e non lui. Rimaniamo pertinacemente di questa idea!

Tornando all’inizio: perché ho scelto di fare un discorso senza infingimenti e senza appelli agli affetti? Perché qui mi trovo a casa mia e non ho bisogno di calibrare le parole per accattivarmi la vostra benevolenza.

Non penso di tediarvi con la storia degli ultimi 30 anni repubblicani, prima o poi la potrete leggere su un libro, ma ritengo giusto, soprattutto per i giovani, esternare quanto cova in me e che per motivi di opportunità politica ho sinora tenuto dentro il mio cuore e la mia mente.

Il Partito oggi non è messo bene e la storia di questa crisi inizia nel 1994, quando nell’andamento a zig-zag della politica delle alleanze, il presidente del PRI Visentini, il segretario reggente Bogi e Oscar Giannino, il fiduciario, chiudono la trattativa per un’alleanza con il centrosinistra, la cui coalizione era allora guidata da Achille Occhetto.

Si pose il veto sul segretario del partito, autosospesosi e conservato sotto aceto per motivi di ordine giudiziario.

Questo sacrilegio non poteva avvenire, quindi si cambiò fulmineamente la strategia, con la conseguente fuoriuscita di tutto il gruppo dirigente. E’ superfluo che io vi ricordi: per venti anni l’interesse personale è stato preminente sulle scelte politiche. Era ed è una storia immorale.

I guai giudiziari possono essere prescritti e possono esserci condanne senza l’iscrizione nel casellario giudiziario. Tuttavia la morale non concede prescrizioni e non si avvale del casellario giudiziario.

In tutta la mia lunga carriera politica non mi sono mai avvalso di moralismi da strapazzo, ma se qualcuno pensa di doverli fare sono pronto a servire pan per focaccia.

Al Congresso repubblicano di Chianciano del 28-30 gennaio 2000, nella relazione dell’allora segretario c’era scritto: "… la battaglia sull’euro non è la battaglia degli economisti, ma la battaglia della vita del nostro Paese." Recentemente la stessa persona, confortata dal parere illuminante del prof. Paolo Savona, presidente della Fondazione Ugo La Malfa, sostiene il contrario: per il bene del nostro Paese sarebbe meglio tornare alla lira.

E che dire sul nucleare?

Si continua a celebrare Felice Ippolito, padre dell’energia nucleare per usi civili nel nostro Paese, e tuttavia sempre un signore dalla memoria molto corta oggi si esprime contro il nucleare: questioni famigliari prima che politiche.

Vogliamo anche affermare questo concetto, che per chi fa seriamente politica è una specie di comandamento: le scelte politiche non possono essere condizionate da un rapporto amicale.

Leggendo "Sangue Romagnolo", di Giancarlo Mazzuca e Luciano Foglietta, notiamo come l’amicizia personale abbia travalicato e sommerso le rispettive posizioni politiche di due amici d’infanzia e di gioventù: Benito Mussolini e Nicola Bombacci.

Il primo fonda i Fasci, il secondo il PCI. La politica non contava di fronte all’amicizia: saranno appesi a Piazzale Loreto entrambi a testa in giù.

Se noi si dovesse morire, meglio morire per un’idea che per un amico con il quale non hai condiviso alcun progetto fino a quando non sono comparsi gli interessi personali, per la gestione di un potere rivelatosi fallimentare.

E allora bisogna pensare alla politica come matrice e motrice di sviluppo.

Uno sviluppo equilibrato, senza fughe in avanti. Come diceva Ugo La Malfa nella polemica con i Radicali, non possiamo avere una società civile di tipo svedese e una società economica di tipo sudamericano.

Equilibrio!!

Equilibrio tra sviluppo economico e avanzamento civile.

Dalla ricerca di questo equilibrio nasce il progetto liberaldemocratico. Siamo nettamente contrari ad un liberismo cieco.

L’ho già detto altre volte: non a voi, come avrebbe detto Mazzini, ma ai tanti creduloni che fanno da contorno a qualche borioso inconsistente. Vorrei dare, didatticamente, il significato di liberaldemocrazia secondo la Treccani: "La Liberaldemocrazia è un regime politico basato sulla combinazione del principio liberale dei diritti individuali con il principio democratico della sovranità popolare. Si intende così sottolineare che il riconoscimento della sovranità del popolo va di pari passo con l’intangibilità di una serie di libertà individuali (pensiero, religione, stampa, impresa economica)".

L’ho detto altre volte, ma giova ripeterlo per i duri di comprendonio: un liberaldemocratico contesta e contrasta la cosiddetta dittatura della maggioranza.

Diceva qualcuno, non ricordo chi (talvolta è meglio non ricordare!), al Congresso di Firenze del 1987: "… non abbiamo perso di vista il desiderio di creare una società più giusta nel nostro Paese, secondo ideali che affondano in un secolo di pensiero repubblicano. Non lo abbiamo perso".

Si sa che con l’avanzare dell’età la vista si affievolisce, talora scompare del tutto e dopo venticinque anni da quella ammissione certi desideri ideali di allora si possono anche perdere di vista.

Anche la nostra vista, fisicamente parlando, non è ottimale: è ottimale invece la nostra vista ideale. Gli ideali, se allignano nella realtà storica, devono necessitare soltanto, per poterli realizzare, di strumenti adeguati ai tempi.

E’ per questo che noi abbiamo sempre considerato Ugo La Malfa il migliore interprete degli ideali mazziniani, anche se egli, forse per vezzo, sosteneva che in Romagna aveva spento i lumini a Mazzini!

E’ nel solco di questa tradizione che noi vogliamo agire.

In questo contesto colgo l’occasione per ringraziare l’amico Saverio Collura, non solo per il lavoro fatto con le sue tesi, ma anche per la perseveranza con cui ha insistito perché io mi convincessi che quella fosse la strada giusta. Le mie resistenze, però, erano dovute al fatto che non tutti erano d’accordo su questo disegno, paragonando stoltamente il nostro congresso a tesi con quelli di memoria comunista. Il nostro obiettivo era quello lamalfiano, nel senso di Ugo ovviamente, cioè quello di dire alla platea politica italiana (e se e quando sarà possibile a quella europea) quali dovevano essere gli strumenti per superare una crisi che, purtroppo, durerà ancora per molti anni.

Il segretario regionale repubblicano (repubblicano?) dell’Emilia Romagna sostiene in una lettera che noi pensiamo al domani e non all’oggi. Povera cultura repubblicana, trasformatasi in qualche caso in cultura socialdemocratica tanassiana!

E’ vero: pensiamo al domani e siamo orgogliosi di farlo. Un repubblicano pensa in ogni istante alle generazioni future, e un futuro più accettabile dell’oggi si forma migliorando il presente. Il solo pensare al presente non basta, il disastro sarebbe totale.

Per una forza tradizionale come la nostra, che si richiama a valori sociali e che da sempre è portatrice di interessi interclassisti e che non ha mai rappresentato e non intende rappresentare segmenti di società pur importanti, l’obiettivo principale è quello di modificare e mettere a punto un motore che va profondamente revisionato ma non sostituito.

In proposito ricordiamo che la FIAT in Italia vende più macchine di quanto ne produca nel nostro Paese. Sarebbe il caso di modificare le relazioni sindacali. La FIOM e la Camusso invece di avventurarsi in una difesa cieca dei privilegi degli occupati, dica a Marchionne: tregua sindacale a patto che la produzione della FIAT si svolga tutta in Italia con conseguente aumento dell’occupazione.

E’ Grillo a voler sostituire il motore, noi lo vorremmo ammodernare.

E’ per ammodernare questo motore che dal 2007 ci battiamo producendo sforzi notevoli, anche nel coinvolgere personalità estranee al partito e forse anche alla stessa cultura repubblicana.

Chi, all’interno del panorama politico italiano, meglio potrebbe rappresentare la nostra visione politica?

Non c’è dubbio alcuno: Mario Monti.

Vale la pena, però, ricordare quanto scriveva Bruno Visentini sul "Corriere della Sera" del 4 agosto 1974, a proposito del rapporto tra tecnici e politici: "A sua volta, e in molti casi, il tecnico o il presunto tecnico, attribuisce al rapporto con il politico carattere dilettantesco di relazioni pubbliche e comunque non impegnato. E in altri casi frequenti, nel rapporto con il politico, egli persegue scopi non coerenti con la professionalità e moralità di tecnico. Talvolta il rapporto costituisce strumento di carriera politica, alla quale vengono sacrificati il rigore e la serietà tecnica, facendo anzi della qualificazione tecnica strumento di opportunismo politico".

Come era esatta la previsione! O era preveggenza?

Salviamo Monti, se ce ne saranno le condizioni politiche, come noi crediamo che ci saranno, e mandiamo a casa ministri arrivisti e cialtroni.

L’idea di Monti è semplicemente questa: medicine amare ma necessarie per chi vuole la Federazione degli Stati Europei.

Quell’Europa concepita dal visionario Mazzini, che tra i suoi principi fondanti asseriva: "Ovunque il privilegio, l’arbitrio, l’egoismo si introducono nella costituzione sociale, è dovere di ogni uomo, che intenda la propria missione, di combattere contr’essi con tutti i mezzi che stanno in sua mano".

I mezzi nelle mani dei repubblicani sono molto scarsi, ma noi come i nostri predecessori non ci arrenderemo.

Continuiamo nel nostro lavoro.

Proprio in questi giorni stiamo completando un disegno: partendo dalla formulazione delle tesi, con un lavoro collegiale, che ha coinvolto tanti amici, intendiamo fornire ai repubblicani e ai cittadini pillole di programma per il futuro, che dovrebbero rappresentare la nostra carta d’identità.

Una condivisione di valori e di progetti che dovranno valere ben di più della tessera di partito, spesso messa nella tasca sbagliata. Voglio concludere, cari amici, parlandovi del partito.

Il PRI naviga in acque procellose.

La navigazione è oltremodo perigliosa perché il mare della politica italiana è sempre più agitato, e la barca che abbiamo ereditato è piena di falle.

Sto tentando con l’aiuto di molti amici, di turare le falle ogni volta che si aprono, ma sono tante e la fatica è troppo onerosa.

La cosa che più mi addolora è l’osservazione di una sorta di razzismo politico nei confronti del PRI del Mezzogiorno. All’interno del nostro partito come più in generale nella politica italiana. Tuttavia, questo esercizio di argomentare sulle persone e non sulle cose, che spesso è stato praticato nel passato, oggi diviene insopportabile, specie se proveniente dai tanti "toro-seduto" che hanno esaurito il loro asset politico e patrimoniale.

Finché avrò forza difenderò la nostra storia di meridionali, che hanno contribuito materialmente, culturalmente e politicamente alla storia d’Italia e ne sono parte a pieno titolo.

Nel Meridione non si trovano, a nostra conoscenza, repubblicani che hanno aderito al fascismo; si trovano spesso repubblicani che hanno perso posti di lavoro e cattedre universitarie per averlo contrastato, il fascismo!

Sono calabrese e sono eletto in quella Regione: qualcuno ha detto, non accorgendosi che stavo ascoltando, che Ugo La Malfa e Bruno Visentini sarebbero inorriditi al pensiero che su un voto di fiducia il sottoscritto è intervenuto per parlare della Calabria. Può darsi. Certamente sarebbero inorriditi a sentire uno che è stato, per fortuna non lo è più, per venti anni alla guida del PRI, il quale, rivolgendosi al Presidente della Consiglio nel corso del primo voto di fiducia dice: " Io sono qua e offro, a titolo personale, la mia collaborazione".

Il sentimento della vergogna non alberga mai dove dovrebbe!

Mi avvio alla conclusione, ringraziandovi tutti per quanto state facendo per il nostro partito. Devo ringraziare in particolare coloro che hanno consentito di trovarci qui tutti insieme: da Rosario Altieri, che rimanendo nel PRI ha dispiegato tutte le sue capacità in una preziosa opera di ricucitura, a Salvatore Scognamiglio, ritornato al PRI precorrendo i tempi che si sarebbero succeduti, a Carmine Pezzullo, ad Alfredo Ponticelli, Pino De Angelis, al segretario provinciale Piro, al segretario di Castellammare Amodio e non dimentico affatto un signore che mi venne a trovare al partito a Roma per sponsorizzare una pacificazione con Peppino Ossorio: Lucio Palombini.

E infine devo ringraziare l’onorevole Ossorio per il preziosissimo contributo che egli dà nello svolgimento dell’attività parlamentare e che va ben oltre i doveri di un deputato.

Grazie a voi, e avanti tutta oggi e sempre con la Liberaldemocrazia e con il Partito Repubblicano Italiano. Riuniamo tutte le forze liberaldemocratiche che ci sono in questo Paese - e sono tante - e costituiamo una Alleanza di Liberaldemocratici che possa operare anche in un’alleanza elettorale.

Se non sarà possibile ci avvieremo su altre strade senza pregiudizio alcuno.